EUROPEI UNITE

La proposta di un quadro comune per i meccanismi di screening degli investimenti esteri diretti

20 September 2017
Categoria: Affari economici e finanziari,

Sono anni difficili per la globalizzazione economica e l’Unione europea tenta di correre ai ripari con una proposta di regolamento, presentata il 13 settembre 2017 [COM(2017) 487 final], che istituisce un quadro di riferimento per i meccanismi di controllo degli investimenti esteri diretti (IED). La proposta si inserisce nella più vasta strategia, annunciata con il Reflection Paper sulla gestione della globalizzazione del 10 maggio 2017, volta a ridefinire il ruolo dell’Unione nel contesto del mercato mondiale: non più spettatrice passiva dei successi e dei fallimenti del mercato bensì attore propositivo nel contesto della governance globale.

L’assunto è che la liberalizzazione e il flusso di commerci ed investimenti vadano regolati per evitare quelle conseguenze disastrose appalesatesi dopo scoppio della crisi economica del 2007. Tale approccio è assolutamente in linea con il 'nuovo consenso' a cui sono approdati gli economisti dopo la crisi economica: un consenso nuovo ma sicuramente tardivo. Viene da chiedersi, come ha fatto Dani Rodrik, se non sia troppo tardi per compensare i perdenti della globalizzazione e se questo nuovo approccio, fatto proprio dall’Unione, non arrivi in un momento in cui il refluire verso forme non troppo velate di protezionismo sia irreversibile. Ad ogni modo, il compito che ha assunto l’Unione è quello di difendere la libertà degli scambi dagli attacchi che ormai provengono anche da partner insospettabili fino a qualche tempo fa: un compito forse impopolare ma certo indispensabile per evitare i danni economici e sociali derivanti dall’attuale tendenza all’isolazionismo.La proposta avanzata dall’Unione è poi importante perché riguarda un tema, quello degli IED, ancora al centro di discussioni. Il Parere 2/2015 della Corte di giustizia del 16 maggio 2017 ha chiarito la portata della competenza dell’Unione in materia di politica commerciale comune, soffermandosi particolarmente sulla competenza sugli IED. Nonostante la riformulazione dell’art. 207 TFUE, l’azione dell’Unione non può arrivare ad impedire agli Stati membri di esercitare le proprie competenze esclusive in materia di ordine pubblico e sicurezza. In altre parole, l’Unione non può limitare né scavalcare le prerogative sovrane degli Stati membri sottraendole a questi o escludendo la possibilità di controllare (c.d. screening) i flussi di investimenti dall’estero per ragioni di sicurezza e ordine pubblico. Va segnalato che la proposta della Commissione arriva a seguito della pre-iniziativa del Parlamento europeo che aveva appunto richiesto alla Commissione di presentare un atto per definire un approccio comune sul controllo degli IED. La proposta della Commissione si occupa di introdurre standard comuni e meccanismi di cooperazione nell'attività di screening degli Stati membri. Ciò in ragione del fatto che, nonostante i denominatori comuni siano sempre la sicurezza, l’ordine pubblico o l’interesse nazionale, l’attività di controllo può variare considerevolmente da Stato membro a Stato membro sotto un profilo procedurale e sostanziale. La Commissione, sulla scorta dell’attività dell’OCSE, ha individuato l’esistenza di meccanismi di controllo in 12 Stati membri. Questi si riferiscono principalmente ad investimenti che provengono da Paesi terzi e da altri Stati membri e che intervengono in settori critici quali la difesa, i trasporti, l’energia, le telecomunicazioni e così via. Nella maggior parte dei casi, l’attivarsi dei meccanismi di screening è subordinato a condizioni quantitative (es. aver acquisito una certa quota o una certa percentuale di azioni) e qualitative (acquisto/perdita del controllo). Peraltro, in alcuni casi (come quello italiano), è stato proprio il contenzioso comunitario a determinare revisioni profonde delle discipline nazionali: come è intuibile, ogni disciplina che attribuisce poteri speciali allo Stato (golden share o golden power) può venire in conflitto con le libertà fondamentali (in specie, libera circolazione dei capitali e libertà di stabilimento) e con la concorrenza e contendibilità delle imprese. Ciò è quanto accaduto alla disciplina contenuta nel decreto legge n. 332 del 1994, censurata dalla Corte di giustizia con sentenza del 26 marzo del 2009 (causa C-326/07). A fronte di un nuovo intervento della Commissione, si è proceduto ad una riforma completa della disciplina con decreto legge n. 21 del 2012, convertito con modificazioni con la legge n. 56 del 2012.Lo sviluppo di un quadro di riferimento europeo muove anzitutto dall’esigenza di assicurare un minimo di certezza del diritto. Non è casuale quindi che la Commissione abbia attentamente valutato la compatibilità della proposta rispetto a libera circolazione dei capitali, libertà di stabilimento, al regolamento 139/2004 del Consiglio relativo al controllo delle concentrazioni tra imprese, al regime comunitario di controllo delle esportazioni, del trasferimento, dell’intermediazione e del transito di prodotti a duplice uso (regolamento 428 del 2009), agli atti legislativi che regolano le acquisizioni nel settore finanziario e assicurativo e rispetto ad altre politiche dell’Unione quali l’energia, le materie prime, la cybersicurezza, le comunicazioni elettroniche, i trasporti. Oltre alle politiche dell’Unione, la proposta considera il quadro internazionale di riferimento e, al considerando 22, afferma esplicitamente che l’attuazione del regolamento non dovrà porsi in contrasto con gli articoli XIV(a) e XIVbis del GATS e con altri accordi su commercio ed investimenti vincolanti per l’Unione o per gli Stati membri. Viene più volte ribadito che la proposta non impone la creazione di meccanismi di screening da parte degli Stati membri, né sostituisce le procedure nazionali con una procedura europea ma si limita a determinare dei requisiti comuni che questi strumenti dovrebbero avere (art. 1) oltre a predisporre un meccanismo di cooperazione tra Stati membri e Commissione europea. In particolare, l’art. 2, tra le altre cose, definisce lo screening mechanism come lo strumento di applicazione generale che stabilisce termini, condizioni e procedure per il controllo degli investimenti esteri diretti per ragioni di ordine pubblico e sicurezza. Per quanto riguarda gli IED che possono influire su progetti e programmi dell’Unione, l’attività di screening sarà condotta dalla Commissione (la procedura è prevista dall’art. 9). Sarà un allegato (contenente una lista esemplificativa) a specificare cosa debba intendersi per progetto o programma dell’Unione. L’art. 4 indica (non esaustivamente) quali “fattori” (così li definisce la rubrica dell’articolo) potranno prendersi in considerazione nella conduzione dello screening. In realtà, si tratta dei beni, intesi in senso lato (infrastrutture critiche, tecnologiche, sicurezza degli approvvigionamenti etc.), alla cui salvaguardia la procedura di controllo è preposta. Significativamente, si aggiunge che la circostanza che l’investitore straniero sia controllato dal governo di un Paese terzo può essere presa in considerazione nell'attività di controllo. Questo è molto rilevante se si pensa al fatto che una buona fetta dei veicoli di investimento provenienti da alcuni Paesi terzi (come la Cina) sono controllati dal governo. L’art. 6 stabilisce i principi di trasparenza, prevedibilità, non discriminazione, certezza e giustiziabilità, a cui dovranno ispirarsi le procedure nazionali, prevedendo il diritto dell’investitore di ricorrere avverso la decisione conseguente allo screening (che è un provvedimento amministrativo) davanti all’autorità giudiziaria. Vengono poi definite le attività di cooperazione tra Stati membri e tra Stati membri e Commissione. Il meccanismo di cooperazione permette a Commissione e a Stati membri diversi da quello di destinazione dell’investimento di emettere pareri o commenti che dovranno essere tenuti in debita considerazione dallo Stato membro di destinazione. Evidentemente, quest’ultimo rimarrà libero di decidere se consentire o meno l’afflusso di capitali sul proprio territorio nazionale.In conclusione, la proposta verrà sicuramente bollata come “minimalista” da numerosi commentatori, soprattutto in ragione dei poteri limitati e degli strumenti non vincolanti di cui eventualmente disporrà la Commissione. Tuttavia, una più attenta analisi suggerisce che essa rappresenta un compromesso accettabile tra diverse esigenze. In una materia così delicata non è concepibile una armonizzazione della disciplina tale da spogliare ex abrupto gli Stati di poteri speciali tradizionalmente legati alla sovranità nazionale. Peraltro, oltre a rafforzare la cooperazione tra Stati membri e consentire alla Commissione di avere una voce in materia, non è escluso che i requisiti minimi procedurali ed i principi previsti dall’art. 6 potranno, semmai entrerà in vigore il regolamento, avere un’influenza sull'architettura dei meccanismi di controllo e sul concreto dispiegarsi dei poteri speciali.

Federico Di Dario

 

 
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