Con risoluzione del 17 maggio 2017 (2017/2656(RSP)), il Parlamento europeo ha richiesto in seduta plenaria l’attivazione dell’art. 7 TUE nei confronti dell’Ungheria. La risoluzione è stata approvata con 393 voti favorevoli, 221 contrari, mentre gli astenuti sono stati 64. Si tratta di un tema di cruciale importanza per l’Unione europea che ha assunto crescente rilevanza nel dibattito pubblico. Negli ultimi anni, la linea politica perseguita dal governo ungherese guidato da Viktor Orbán ha suscitato parecchio clamore per il suo potenziale contrasto rispetto ai valori fondanti dell’Unione enunciati all’art. 2 TUE.
Le dichiarazioni di Orbán sulla costruzione di una democrazia illiberale sono divenute celebri ed emblema della crisi e della minaccia ai valori dell’Unione. La vicenda ungherese, da un lato, ha diviso profondamente il PPE, di cui il partito di maggioranza in Ungheria Fidesz è membro, dall’altro, si intreccia con quella polacca, in cui la crisi costituzionale non ha trovato soluzione. Nel corso degli anni, si è sentita sempre di più la necessità di rafforzare la difesa dei valori di cui all’art. 2 TUE. I Trattati prevedono, quale strumento tipico di tutela, le procedure di cui all’art. 7. Questo contiene una procedura sanzionatoria, introdotta con il Trattato di Amsterdam, per cui il Consiglio europeo, può constatare all’unanimità l’esistenza di una violazione grave e persistente dei valori da parte di uno Stato membro su proposta della Commissione o di un terzo degli Stati membri. A seguito della constatazione, il Consiglio può, a maggioranza qualificata, sospendere alcuni dei diritti derivanti allo Stato membro in questione dall’applicazione dei trattati, tra cui il diritto di voto del rappresentante del governo in seno al Consiglio. La seconda procedura, introdotta a seguito dell’affare Haider, consiste in uno strumento preventivo con cui il Consiglio, a maggioranza dei quattro quinti dei suoi membri, può constatare la sussistenza di «un evidente rischio di violazione grave da parte di uno Stato membro dei valori di cui all’articolo 2». In questo caso, la proposta può provenire anche dal Parlamento Europeo. Tali meccanismi sono stati tuttavia sempre osteggiati e percepiti come assolutamente eccezionali: lo stesso ex Presidente della Commissione Barroso paragonò l’art. 7 ad una “opzione nucleare”, consegnando di fatto le due procedure alla desuetudine. Peraltro, in quanto i valori di cui all’art. 2 TUE detengono lo status di principi generali del diritto UE, se la violazione di essi avviene nell’attuazione del diritto dell’UE può scattare una procedura di infrazione nei confronti dello Stato membro che la pone in essere. Lo strumento della procedura di infrazione può utilizzarsi anche quando la minaccia ai valori si sostanzia in un provvedimento che viola direttamente il diritto dell’Unione. Tuttavia, come accade spesso, una minaccia ai valori può manifestarsi pur in assenza di una violazione diretta del diritto dell’Unione o anche non in attuazione del diritto UE. Per questo motivo, proprio alla luce della situazione ungherese, la Commissione ha sviluppato un quadro (il Nuovo quadro) per la tutela dello Stato di diritto (COM(2014)158 final) in modo da attivare un dialogo con lo Stato membro ogni volta in cui si ritenga sussistere una minaccia sistemica allo stesso. Il Nuovo quadro tuttavia non si sostituisce ai Trattati ma è complementare ad essi e, ovviamente, non introduce nuovi strumenti sanzionatori. Esso è stato attivato nei confronti della Polonia nel gennaio del 2016 ma non ha condotto ad una soluzione alla crisi costituzionale.Tornando alla Risoluzione del Parlamento europeo, questa rileva come: «l'attuale situazione in Ungheria rappresenti un evidente rischio di violazione grave dei valori di cui all'articolo 2 TUE e giustifichi l'avvio della procedura descritta all'articolo 7, paragrafo 1, TUE», incaricando simultaneamente la commissione competente di procedere all’avvio della procedura e di elaborare una relazione. Tale relazione, contenente l’invito ad agire ai sensi dell’art. 7, par. 1, dovrà poi essere votata dall’Aula.La Risoluzione approvata contiene numerosi elementi che ricostruiscono la situazione ungherese, alla luce della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo e delle prese di posizione precedenti del Parlamento europeo, della Commissione, dell’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa, del Commissario del Consiglio d’Europa per i diritti umani. In particolare, viene menzionata più volte la gestione dei migranti ed il rispetto degli obblighi internazionali in materia di diritto d’asilo quali fattori che hanno inciso sulla presa di posizione del Parlamento. In particolare, si menziona la circostanza per cui «nel 2016 il 91,54 % delle domande di asilo è stato respinto». Inoltre, al considerando di cui alla lettera D, si richiama la libertà accademica, delle arti e la libera ricerca scientifica, alludendo alle norme sull’accreditamento universitario di fatto volte ad osteggiare la prosecuzione delle attività didattiche e di ricerca svolte dalla Central European University, fondata da George Soros. Si fa inoltre riferimento a “preoccupazioni” su una serie di temi tra i quali: la libertà di espressione, la sorveglianza di massa, i diritti delle persone LGBTI, i diritti delle donne, i diritti dei rom, il funzionamento del sistema giudiziario, il sistema di istruzione superiore, il trattamento delle organizzazioni a difesa dei diritti civili. Di grande importanza è poi l’atto di accusa del Parlamento nei confronti della Commissione: non tanto per la circostanza di non aver attivato il Nuovo quadro nei confronti dell’Ungheria quanto per la critica radicale e per certi versi condivisibile rispetto all'approccio attuale della Commissione, schiacciato «prevalentemente su aspetti tecnici e marginali della legislazione, [che ignora] le tendenze, i modelli e l'effetto combinato delle misure sullo Stato di diritto e i diritti fondamentali». Proprio questo è l’aspetto più interessante della Risoluzione ossia l’aver fotografato la situazione ungherese lasciando inalterata la sua complessità e dinamicità, senza semplificazioni o riduzioni formalistiche. Dalla Risoluzione emerge con chiarezza un quadro allarmante, in cui si registra plasticamente un graduale scivolamento verso un regime autocratico. Inizialmente circondato da un’inquietante silenzio, il Parlamento ha infine acceso i riflettori sull’Ungheria, dimostrando che i valori dell’Unione possono essere difesi, se necessario ricorrendo a mezzi incisivi anche se eccezionali. Si spera che sia solo l’inizio di un nuovo percorso di difesa dei valori e dei principi europei.
Federico Di Dario